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L’ipocrisia mondiale in Siria è scolpita nella pietra

La macchina della morte

Molto, tanto, troppo si è detto e scritto in merito alla Siria negli ultimi mesi, scadendo in banalità ed inopportuni settarismi degni delle “migliori” tifoserie.

Il mondo ha voltato lo sguardo altrove di fronte alle nefandezze compiute da Bashar Al Assad nei confronti del suo popolo e, per rendersene conto, sarebbe bastato leggere il libro “La macchina della morte” (di Garance Le Caisne, Rizzoli, gennaio 2016).

La copertina del libro.

In questo testo è riportata la vicenda di un “disertore”. 

Nel 2011, con l’esplodere delle proteste contro il governo siriano guidato da Bashar al-Assad, un ufficiale militare noto con lo pseudonimo di César ed alcuni colleghi vengono incaricati di documentare fotograficamente i corpi senza vita delle persone decedute all’interno delle strutture di detenzione controllate dall’esercito. Si tratta, secondo quanto emerso, di oppositori arrestati durante le manifestazioni antigovernative.

Di fronte all’orrore che si trovano a testimoniare quotidianamente, César prende una decisione rischiosa: inizia a copiare clandestinamente migliaia di immagini, con l’intento di custodirle e, un giorno, rivelare al mondo la sorte delle vittime, dando così una possibilità ai loro familiari di conoscere la verità.

Dopo circa due anni, le crescenti minacce alla propria sicurezza ed a quella dei suoi cari lo costringono a fuggire dalla Siria ed a chiedere asilo in Europa.

Il presidente Assad, interrogato sulla vicenda nel corso di un’intervista concessa alla rivista “Foreign Affairs”, ha liquidato le accuse sollevate con scetticismo, mettendo in dubbio l’autenticità delle prove e l’identità del testimone. A suo dire, non sarebbe chiaro chi abbia scattato le fotografie né chi sia effettivamente la persona che le ha diffuse; secondo il leader siriano, nessuno conosce quest’uomo e nulla di quanto denunciato sarebbe stato dimostrato.

Mukhabarat

La testimonianza di César, arricchita da documenti ed informazioni inedite, avrebbe dovuto cambiare il corso della storia.

Secondo quanto riportato sul funzionamento degli apparati di sicurezza siriani, i servizi segreti – noti con il termine mukhabarat – risultano articolati in quattro principali sezioni. Tra queste, la più influente è la Sicurezza Militare, seguita dalla Sicurezza Generale, responsabile della raccolta di informazioni di carattere generale; vi è poi la Sicurezza Politica, che opera in coordinamento con il Ministero dell’Interno, ed infine la Sicurezza Aerea, istituita direttamente da Hafez al-Assad, ex pilota militare.

Ciascuna di queste strutture è ulteriormente suddivisa in reparti centrali, con sede a Damasco, oltre ad una fitta rete di sezioni regionali dislocate nelle province ed unità locali attive nelle città di tutto il Paese. Ogni reparto è dotato di uno o più centri di detenzione, la cui dimensione può variare considerevolmente a seconda dell’area e della funzione.

L’assurdo gioco dei ruoli

Nella primavera del 2013, lo Stato Islamico (Daesh) ha avviato una rapida espansione in Siria, concentrandosi principalmente nel Nordest del Paese. Piuttosto che affrontare direttamente il regime di Bashar al-Assad, i miliziani jihadisti hanno indirizzato i loro attacchi contro le forze ribelli, riuscendo a sottrarre loro ampie porzioni di territorio. In questo contesto, il governo siriano ha scelto di non contrastare l’avanzata dello Stato Islamico, preferendo invece colpire le postazioni dell’Esercito Siriano Libero, all’epoca considerato l’unica alternativa politica moderata al potere di Assad. Questa dinamica ha portato ad ipotizzare una sorta di “alleanza oggettiva” tra il regime e Daesh, entrambi impegnati – seppur con finalità diverse – nel reprimere l’opposizione democratica.

Le vane speranze

Nel libro viene citata la testimonianza di Hassan Shalabi, oppositore di Bashar al-Assad, segretario generale della “Corrente nazionale”, che si impegnava affinché terminasse pacificamente il governo dell’avversario.

Un passo del testo (ricordando che risale al 2016), letto alla luce del disinteresse mondiale e di quanto avvenuto a dicembre 2024, dovrebbe essere capace di far assumere reale consapevolezza al lettore:

In quell’inverno del 2013, le cancellerie occidentali e l’opinione pubblica parlano solo di “jihadisti”, “terroristi” e “Stato islamico”. Pochi giorni prima, nel Nord della Siria, nei cosiddetti “territori liberati”, una decina di giornalisti stranieri viene sequestrata dai macellai che di lì a qualche mese si faranno filmare nell’atto di sgozzare i loro prigionieri. “Il mondo confondeva i veri rivoluzionari con i jihadisti” spiega Hassan Shalabi. “Finendo per rimuovere dal proprio campo visivo quel terrorismo di Stato che era all’origine di tutto e che nel frattempo continuava a prosperare indisturbato.” Quel giorno, sotto i suoi occhi c’è la perfetta illustrazione del terrorismo di Stato. Le foto di César parlano da sole, pensa Hassan: quando saranno di pubblico dominio, la guerra dovrà per forza spostarsi dai campi di battaglia – dove nessuna fazione potrà mai avere la meglio sulle altre – alle aule dei tribunali internazionali, cioè dal piano militare a quello giuridico.

Tutto cambi perché tutto resti uguale

Il libro non è servito.

Le foto raccolte da “Cesar” sono state mostrate, in Italia, ad ottobre 2016 al Maxxi di Roma ed in altri contesti internazionali.

Uno scorcio della mostra fotografica al Maxxi di Roma del 2016.

Dopo l’iniziale “vociare scandalizzato”, sembra che quanto letto e visto sia stato rimosso. Quello che dovrebbe indignarci oggi è il finto stupore nel dicembre 2024, quando iniziarono a circolare sul web le foto dei luoghi di detenzione. Non bastavano le immagini dei cadaveri torturati? Non erano sufficienti le testimonianze?

Il mondo ha deciso di volgere lo sguardo da un’altra parte e, dato che oggi troviamo al potere in Siria un gruppo che è stato affiliato ad Al Qaeda e che trae le origini nelle stesse circostanze in cui è sorto l’Isis, possiamo anche cinicamente accettare.

Rimane invece indiscutibilmente ipocrita fingere di stupirsi di realtà già conosciute perché non è un atteggiamento propedeutico a cercare una soluzione (o il “male minore”?), ma solo a ripulirsi la coscienza.

  • Dott.ssa in Scienze Internazionali Diplomatiche, Master in “Religioni e Mediazione culturale” e Master in “Antiterrorismo Internazionale”.
    Esperienze formative maturate presso Radio Vaticana e la Camera dei Deputati.
    Dal 2021 al 2023 membro del Comitato di Direzione della Rivista "Coscienza e Libertà", organo di stampa dell’Associazione Internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR).
    Fondatore del blog "Caput Mundi", supervisore sezione "Geopolitica" Nord Africa e Medio Oriente, cura le pubbliche relazioni del sito ed i contatti con l'esterno.
    Redattrice per “Il Talebano” e collaboratrice editoriale presso radio RVS, network hopemedia.it.

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