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Erdoğan divide et impera: gli effetti geopolitici dell’arresto di İmamoğlu

L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, avvenuto nelle prime ore di mercoledì 19 marzo ed ufficializzato domenica 23 marzo, ha chiaramente evidenziato la strategia politica del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Nonostante l’iniziale sorpresa manifestata dalla comunità internazionale, la scelta di incarcerare İmamoğlu, esponente di spicco e figura carismatica del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), principale forza d’opposizione in Turchia, si inserisce nella più ampia strategia governativa volta ad indebolire e dividere l’opposizione, in particolare il CHP ed il partito curdo Dem. Tale manovra mira a rimodellare le forze politiche antagoniste in modo da facilitare l’approvazione di una modifica costituzionale che consenta ad Erdoğan di candidarsi nuovamente, superando così il limite dei due mandati presidenziali attualmente previsto dalla Costituzione.

La preparazione

L’operazione che ha portato all’esclusione di İmamoğlu dalla corsa presidenziale è stata accuratamente pianificata. Martedì 18 marzo l’Università di Istanbul ha revocato la laurea del sindaco per presunte violazioni regolamentari stabilite dall’Higher Education Board, privandolo così di un requisito fondamentale per la candidatura presidenziale. Il giorno successivo İmamoğlu è stato arrestato con l’accusa di corruzione e presunti legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), considerato in Turchia come un’organizzazione terroristica. Parallelamente, l’arresto di ulteriori 106 membri del CHP nei giorni seguenti ha chiaramente dimostrato come l’obiettivo governativo fosse quello di smantellare l’intera struttura del partito. L’ufficializzazione degli arresti è coincisa simbolicamente con le primarie interne del CHP per selezionare il proprio candidato alle presidenziali del 2028.

Alcuni fotogrammi estratti dal video dell’arresto di Ekrem İmamoğlu.

Lo scioglimento del partito curdo

Contestualmente, a fine febbraio, Abdullah Öcalan, storico leader del PKK detenuto dal 1999, ha chiesto pubblicamente il disarmo e lo scioglimento del gruppo. Secondo diversi analisti, dietro questa richiesta straordinaria ci sarebbe la regia politica del Partito del Movimento Nazionalista (MHO) guidato da Devlet Bahçeli, alleato cruciale di Erdoğan. L’MHO dal 2024 starebbe cercando infatti un dialogo con Öcalan per legittimarlo agli occhi del partito curdo Dem, in cambio del supporto parlamentare necessario per raggiungere i 360 voti richiesti (su 600 membri totali) per approvare la modifica costituzionale.

La strategia politica e le reazioni internazionali

La mossa contro İmamoğlu e l’iniziativa politico-strategica Erdoğan-Bahçeli-Öcalan mirano quindi ad un obiettivo comune: impedire una possibile candidatura di İmamoğlu alle presidenziali, indebolire drasticamente l’opposizione e, contemporaneamente, acquisire l’appoggio politico del partito curdo Dem attraverso concessioni ad Öcalan, garantendo così la continuità del potere ad Erdoğan.

La svolta del governo turco è ormai esplicita, e diversi politici europei e rappresentanti delle cancellerie occidentali hanno espresso forti critiche nei confronti delle recenti decisioni di Ankara. Tuttavia, difficilmente tali condanne avranno effetti concreti: Erdoğan ha infatti scelto attentamente il momento
per agire, forte anche di una situazione internazionale a lui particolarmente favorevole. Sarebbe stato sufficiente revocare il titolo universitario ad İmamoğlu per escluderlo formalmente dalla competizione elettorale del 2028 tuttavia la decisione di incarcerarlo immediatamente riflette la consapevolezza del presidente turco della sua attuale posizione geopolitica privilegiata.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan.

L’Unione Europea ha estremo bisogno di dialogare con Ankara, specialmente riguardo a temi chiave come la difesa e la sicurezza, in un contesto internazionale caratterizzato dal parziale disimpegno degli Stati Uniti in Ucraina. In questo scenario, l’industria turca della difesa potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella riorganizzazione della sicurezza europea. Diversi paesi europei, tra cui l’Italia, hanno già avviato collaborazioni strategiche con aziende turche, come dimostrano gli accordi recenti tra Baykar e Piaggio Aerospace, e la partnership di Baykar con Leonardo per la produzione di droni senza pilota. Pertanto, nonostante le preoccupazioni espresse anche dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, le necessità strategiche europee rischiano di prevalere sulle condanne di ordine politico.

Il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe rappresentare uno sviluppo favorevole per Ankara sotto diversi punti di vista. Trump non sembra incline a criticare leader politici come il presidente turco Erdoğan: questa riluttanza deriverebbe dalla stessa tendenza di Trump ad adottare posizioni rigide. Secondo quanto riportato dall’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, il recente colloquio telefonico tra Trump ed Erdoğan è stato definito come “molto positivo” e “trasformativo”. Alla luce di ciò, sembra improbabile che episodi interni come l’attuale arresto del sindaco di Istanbul possano influenzare negativamente il rapporto personale e politico tra i due leader.

Il ruolo fondamentale assunto dalla Turchia nello scenario siriano ha contribuito a rafforzare nuovamente la posizione internazionale di Erdoğan, garantendogli una maggiore influenza negli sviluppi politici interni alla Siria. La caduta di Assad non sarebbe stata possibile senza il consenso ed il sostegno implicito che Ankara ha fornito al gruppo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ed al suo leader, Ahmed al-Sharaa, con cui funzionari turchi intrattengono da tempo rapporti stabili. Questa influenza sul nuovo governo siriano consente alla Turchia di avere voce nella futura ricostruzione del paese e rafforza il dialogo con gli altri attori internazionali, specialmente con gli Stati Uniti, nell’ambito di un comune interesse contro la presenza iraniana nella regione.

Tuttavia, mentre la situazione geopolitica sembra favorevole ad Erdoğan sul piano internazionale, la situazione interna in Turchia appare decisamente più complessa. Dopo l’arresto di Ekrem İmamoğlu, migliaia di cittadini sono scesi in strada a protestare e hanno continuato a farlo nonostante il divieto imposto dal governo e le dure azioni repressive delle forze di polizia.

Le conseguenze economiche

Il paese attraversa da tempo una crisi economica profonda, peggiorata ulteriormente dai recenti avvenimenti. Subito dopo l’arresto di İmamoğlu, la lira turca ha raggiunto il minimo storico nei confronti del dollaro statunitense, spaventando investitori internazionali e costringendo la banca centrale turca ad intervenire spendendo circa 11,5 miliardi di dollari per sostenere la valuta nazionale. A complicare ulteriormente il quadro economico si aggiunge la recente decisione dell’autorità turca che regolamenta i mercati finanziari di vietare le vendite allo scoperto su tutti i titoli, abbinata ad un allentamento delle regole riguardanti il riacquisto di azioni. Questi provvedimenti rischiano di generare ulteriori tensioni economiche, acuendo così il malcontento diffuso nella popolazione.

La discesa del valore della Lira turca nei confronti del dollaro USA negli ultimi anni.

Un ulteriore elemento significativo delle attuali proteste è rappresentato dalla partecipazione massiccia delle giovani generazioni, che non si riconoscono nella politica conservatrice di Erdoğan. Questi giovani, che già si erano distinti nel corso delle elezioni amministrative del 2024, potrebbero rivelarsi determinanti anche in questa nuova fase di contestazione politica e sociale.

Se da un lato tali elementi possono complicare temporaneamente i piani di Erdoğan, dall’altro non è affatto certo che riescano ad indebolire significativamente il presidente. La scelta di colpire il principale rivale con largo anticipo rispetto alle prossime elezioni presidenziali potrebbe essere strategicamente mirata proprio a permettere che il malcontento popolare, già anticipato e previsto, possa affievolirsi gradualmente nel tempo. Molto dipenderà dalla capacità dell’opposizione di mantenersi unita e compatta, evitando le insidie della strategia governativa del “divide et impera”.


Riferimenti bibliografici:

  • Dott.ssa in Scienze Internazionali Diplomatiche, Master in “Religioni e Mediazione culturale” e Master in “Antiterrorismo Internazionale”.
    Esperienze formative maturate presso Radio Vaticana e la Camera dei Deputati.
    Dal 2021 al 2023 membro del Comitato di Direzione della Rivista "Coscienza e Libertà", organo di stampa dell’Associazione Internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR).
    Fondatore del blog "Caput Mundi", supervisore sezione "Geopolitica" Nord Africa e Medio Oriente, cura le pubbliche relazioni del sito ed i contatti con l'esterno.
    Redattrice per “Il Talebano” e collaboratrice editoriale presso radio RVS, network hopemedia.it.

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