AntropologiaLetteraturaNarrativa

Il terrorismo: la narrativa “araba” ci fornisce spiegazioni?

Moltissimi esperti e studiosi europei ed americani si impegnano a capire le origini del terrorismo ricercando riferimenti ed eventi storici connessi tra loro e valutandoli con ogni metodologia di ricerca. Questo campo di studio ha sicuramente assunto importanza e risonanza mediatica dal 2001 in poi, anno in cui l’attentato alle Torri Gemelle sconvolse il mondo e risvegliò dal torpore intellettuale anche gli osservatori più distratti. Svolgendo una ricerca veloce e superficiale si possono trovare, anche nei siti di e-commerce, migliaia di libri pubblicati negli idiomi più diffusi nel mondo, di cui centinaia in lingua italiana. Quanto mi trovo ad osservare è un aspetto di carattere pratico, ma che allo stesso tempo “strizza l’occhio” ad alcuni principi antropologici: spesso, purtroppo, viene sottovalutata la potenza dirompente della narrativa, soprattutto quando gli autori sono originari dei paesi presi ad oggetto o materia del contendere intellettuale. Vorrei citare alcuni testi che non vengono posti sotto la dovuta attenzione.

“Il telefonista di Al Qaeda”

L’autrice, Marcella Andreoli, raccoglie i resoconti del “primo” pentito in Italia. Tunisino benestante, colto e laico, arrivato nel nostro paese più per curiosità che per necessità, anche lui è caduto presto nelle grinfie degli Imam della moschea di Viale Jenner a Milano, dove nella seconda metà degli anni Novanta si reclutavano giovani da avviare al martirio. Anche lui è stato spinto verso il jihad: un’estremizzazione, ci spiega, che nasce da un sostrato di odio post-coloniale che si respira fin da bambini nei paesi “arabi”, che si mescola con il bisogno di aggregazione e degenera nel fanatismo religioso contrapposto alla corruzione del mondo, ma anche nel disprezzo per tutti i familiari ed i connazionali che non condividono la via del jihad. Spaventa leggere che fra i tanti piccoli spacciatori e falsari delle nostre città, o fra i tanti muratori e lavoranti si annidavano fior di mujaheddin per anni ignoti ai nostri stessi apparati di sicurezza. Eppure i colossali proventi di quelle attività criminose costituivano il bilancio della multinazionale Al Qaeda.

Milano in particolare era un avamposto logistico e finanziario di primo piano nella rete internazionale del terrorismo. Per comprendere la capacità operativa di queste cellule basti sapere che a Natale del 2000 era in progetto uno “spettacolare” attentato alla Stazione Centrale di Milano, solo il mancato ordine finale dei vertici ha impedito fosse attuato. Viene descritto in maniera chiara quanto constatato dalle indagini condotte da Dambruoso e la rete di connivenze sul territorio. Sottovalutare questo testo porta ad ignorare la capillarità del fenomeno nel territorio italiano e porta all’erronea convinzione che il binomio terrorismo/immigrazione sia da ricercare unicamente nella tragica condizione di chi cerca un futuro migliore, allontanandosi da paesi ormai ridotti a brandelli, a seguito di un’incapacità gestionale degli eventi intercorsi a seguito delle cosiddette “Primavere arabe”.

“La Scelta di Said”

Ben descrive il passaggio dalla propaganda fatta di persona in moschea e la diffusione del messaggio su audiocassetta per arrivare ad internet. Chi descrive i fatti è Bouchaib Mhamka, autore del testo insieme a Raffaele Masto. I fatti si svolgono ad aprile 2006 a Casablanca. La polizia scopre due giovani kamikaze pronti a colpire il consolato americano. Uno di loro fugge ma, vedendosi raggiunto, si getta addosso all’agente che lo insegue e si fa esplodere. È uno dei numerosi atti terroristici messi a segno, ma per l’autore la notizia è sconvolgente: l’attentatore rimasto ucciso è infatti il suo amico d’infanzia Said. Sono cresciuti insieme nella baraccopoli di Sidi Moumen, alla periferia di Casablanca. Anche Bouchaib qualche anno prima ha risposto al richiamo jihadista e ha trovato nella comunità dei fedeli un ruolo ed una nuova consapevolezza che hanno guarito le sue frustrazioni.

Ma quanto più si è addentrato nel mondo jihadista, tanto più chiaramente ha riconosciuto l’intolleranza e la violenza che lo abitano e la follia del progetto politico. Così se ne è allontanato, mentre Said ne veniva inghiottito: si isolava nei cyber caffè e spariva dalla circolazione per lunghi periodi. Cercando una spiegazione alla morte dell’amico, Bouchaib ha ripercorso la loro storia. I due autori hanno approfondito il lavoro di ricostruzione riuscendo ad offrire un quadro dettagliato della realtà nella quale l’integralismo religioso mette radici.

“Cosa sognano i lupi?” e “Khalil”

La vicenda è simile a quella raccontata da Yasmina Khandra (per anni usò questo pseudonimo a causa della censura, il suo nome è Mohammed Moulessehoul), autore algerino, nel suo libro “Cosa sognano i lupi?” (la prima pubblicazione risale addirittura al 1999). Il protagonista, Nafa, a seguito di numerose frustrazioni collezionate nel corso del suo lavoro di autista presso una ricca famiglia locale, si lascia affascinare da un gruppo di jihadisti, diventando prima uno zelante combattente e poi un omicida senza scrupoli. Nel libro intitolato “Khalil” (pubblicato nel 2018), ambientato in Belgio, il protagonista è un giovane ragazzo di origini marocchine (quello che noi definiamo la seconda generazione). L’autore scruta nella mente di un terrorista seguendone ogni percorso e sfumatura. È tra le poche opere letterarie contemporanee ad offrire una riflessione approfondita sui concetti di intolleranza religiosa ed il fascino per la violenza.


Sono convinta che il limite più grosso per “noi” europei sia quello di leggere libri unicamente scritti da “occidentali”. Se facessimo lo sforzo di avvicinarci ad autori come Yasmina Khandra (Algeria) o Alaa Al Aswani (Egitto) potremmo sicuramente capire meglio la realtà dei fenomeni. Certo, sono libri di narrativa, ma la bravura di questi scrittori risiede nella capacità di immergere il lettore in una realtà che spesso ci risulta lontana.

Il “caso” di “Palazzo Yacoubian”: è vera la censura? Davvero è più “grave” l’omosessualità del terrorismo?

Premessa: il titolo è volutamente provocatorio, si capirà la motivazione al termine dell’articolo.

Il libro, pubblicato nel 2002 dopo aver subito numerosissimi rifiuti da svariati editori in patria, è il libro più venduto in quello che può essere definito il “mondo arabo”. ‘Ala Al-Aswani è un dentista che ha studiato negli Stati Uniti, ma ha saputo farsi notare per le sue capacità narrative; nasce in un’abbiente famiglia borghese, il padre era uno scrittore. Il romanzo, ambientato negli anni 70, è innovativo sotto moltissimi punti di vista perché non tratta le vicende di una famiglia, ma narra quanto accade agli abitanti di un palazzo, o comunque le persone che vi orbitano. È uno spaccato di vita illuminante perché, in quello stesso micro mondo, è possibile osservare disparità economiche (tanto che alcuni inquilini sono costretti a vivere quasi abusivamente sul tetto, mentre altri risiedono negli appartamenti più confortevoli del caseggiato) e sociali che mai sono stati illustrati in modo così preciso. L’edificio risulta costruito negli anni 30 per volere di un ricco imprenditore armeno, ma lo sviluppo urbanistico ha fatto sì che si trasformasse in un edificio popolare. Ciò che colpisce, fin dalle prime righe, è l’ironia che accompagna il racconto e la capacità formidabile dell’autore di rendere viva qualsiasi minima particolarità con un uso magistrale della lingua, servendosi di aggettivi e sostantivi inconsueti e variegati.

Grazie a Palazzo Yacoubian si percepisce come la politica sia corrotta e che le decisioni “importanti” non siano prese nei luoghi deputati al potere, ma in ristoranti dove sovente si stabiliscono scambi di denaro e di favori. Vengono, però, descritte anche altre situazioni che in Egitto, solitamente, vengono ignorate. Si narra la vicenda di una ragazza che, per poter lavorare in uno squallido negozio, è costretta ad acconsentire a soddisfare i desideri sessuali del suo capo, pur preservando la verginità. Per la prima volta si accenna apertamente al tema dell’omosessualità: uno degli abitanti ricchi del palazzo frequenta spesso uomini che prestano i loro servizi a pagamento e ciò lo fa vergognare, prova pudore per cosa potrebbe pensare la gente. Questa vicenda, nella trasposizione cinematografica, è ampiamente censurata[1] perché si suppone il popolo egiziano non sia pronto ad affrontare temi così complessi legati alla sessualità. Infine, degna di nota, è la narrazione legata ad un giovane ragazzo che sogna di entrare in polizia. La sua famiglia è di umili origini e, nonostante l’impegno e la dedizione dimostrate, non riesce ad essere accettato perché privo di “raccomandazioni”. Il sogno di una vita viene infranto e, all’apice dello sconforto, viene attratto dalla propaganda jihadista: si inserisce in questo contesto dove ritiene venga valutato unicamente il suo valore personale e dove non esistano favoritismi. L’epilogo è tragico, il ragazzo muore nel corso di un attentato.

Quanto ha destato il mio interesse in modo particolare sono le difficoltà incontrare dall’autore per poter pubblicare il suo libro in patria. Ciò che scandalizzava i suoi compatrioti non era certo il carattere umoristico e l’esasperazione dei personaggi, ma il fatto che si parlasse apertamente di omosessualità. Quanto detto è confermato dalla trasposizione cinematografica: le scene riguardanti il ragazzo terrorista sono riportate su pellicola fedelmente, invece quanto è legato alle inclinazioni sessuali sono soggette a censura.


[1] https://www.angelipress.com/cultura/a-roma-si-proietta-il-film-palazzo-yacoubuian-censurato-dal-parlamento-egiziano/


Sullo stesso tema, l’intervista di Sara Tagliente ad Arianne Ghersi, su TeleGenova:

  • Dott.ssa in Scienze Internazionali Diplomatiche, Master in “Religioni e Mediazione culturale” e Master in “Antiterrorismo Internazionale”.
    Esperienze formative maturate presso Radio Vaticana e la Camera dei Deputati.
    Dal 2021 al 2023 membro del Comitato di Direzione della Rivista "Coscienza e Libertà", organo di stampa dell’Associazione Internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR).
    Attualmente fondatore del blog "Caput Mundi", Redattrice per “Il Talebano” e collaboratrice editoriale presso radio RVS, network hopemedia.it.

    Visualizza tutti gli articoli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *