Militaria

La guerra d’attrito del XXI° secolo: la lezione Ucraina

Le conseguenze dell’invasione su larga scala operata dall’esercito russo in Ucraina sono di proporzioni gigantesche e sotto gli occhi di tutti, tanto sulla politica internazionale quanto sulle politiche energetiche e sulle dinamiche dell’intera economia mondiale.

Conseguenze di altrettanta enorme portata, anche se probabilmente percepite solo dagli “addetti ai lavori”, si sono materializzate improvvisamente in numerosi ambiti afferenti alle dottrine di tutte le forze armate dei paesi occidentali e non solo.

Gli studi che emergono a centinaia dal campo di battaglia ucraino hanno portato all’attenzione di tutta la comunità militare della NATO un numero impressionante di lezioni apprese (c.d. lesson learned) che, in molti casi, rivoluzioneranno i futuri concetti di difesa. Tra le tante vale la pena citare:

  • le innovazioni portate dall’impiego massiccio dei droni in tutte e tre le dimensioni (aria, acqua e terra) e tutte le “sotto categorie” che sono nate (droni barella, droni demolitori, droni posa mine, droni logisti che portano le munizioni in trincea ecc. ecc.). I droni sono diventati, per necessità, le bombe intelligenti della terza dimensione ucraina (quelle che adesso, per estensione, vengono definite loitering munitions – munizioni circuitanti[1]);
  • le riflessioni sui modelli di difesa sviluppati sia dall’Ucraina che dalla Russia (il ritorno alle tabelle organiche di epoca sovietica, i limiti dimostrati dalla eccessiva professionalità richiesta per lo svolgimento di operazioni multi dominio e il reclutamento di foreign fighters, Private Military Company2, detenuti ecc.);
  • l’importanza della difesa anti-aerea e della negazione della superiorità/supremazia aerea;
  • il ritorno alla guerra in trincea e alle battaglie d’attrito (Bakmhut, Avdeevka, Pokrovsk…)

Proprio su quest’ultimo punto stiamo traendo le lezioni più pesanti per tutto l’occidente.

Se la possibilità di un grande conflitto su larga scala tra Nato e Russia non sembra più essere soltanto una remota possibilità, ma una concreta opzione ricordata giornalmente da più attori della comunità internazionale, bisognerà considerare attentamente la capacità dell’Occidente di poter effettivamente condurre una guerra di lunga durata che contempli una strategia incentrata sul logoramento delle forze piuttosto che sulla manovra.

Caratteristiche di una guerra di attrito

Le guerre di attrito rientrano in uno specifico ambito della dottrina militare e sono dotate di una loro dinamica ben precisa e con fattori che si concentrano sul numero delle forze a disposizione, piuttosto che su altri fattori della pianificazione militare (terreno, manovra, tempo a disposizione ecc.).

Per poter essere condotte e sostenute necessitano di una capacità industriale ben strutturata e dimensionata in grado di consentire la sostituzione delle perdite, così come di una adeguata profondità geografica dei paesi belligeranti che sia in grado di assorbire le inevitabili sconfitte. Nelle guerre di attrito[2], le operazioni militari sono supportate dalla capacità di uno stato di sostituire le perdite e di generare le forze che andranno a sostituirle, piuttosto che da manovre tattiche e operative. Tra le due forze in conflitto, quella che comprenderà prima questa dinamica e si concentrerà sulla sola distruzione delle forze nemiche piuttosto che sulla conquista del terreno avrà maggiore probabilità di prevalere.

Mentre il conflitto si prolunga, gli effetti della guerra si spostano sul campo dell’economia.

Nessuno tra i paesi dell’Occidente al momento sembra essere preparato per questo tipo di guerra. Questo tipo di approccio alla guerra di attrito può apparire un ragionamento contro-intuitivo, anche perché le Accademie Militari occidentali hanno sempre studiato un modello di campagne militari dove lo scontro di breve durata, tra eserciti professionisti, consentiva di decretare un vincitore. La possibilità che le operazioni che vengono studiate negli scenari addestrativi si prolunghino nel tempo, molto raramente sono state contemplate.

Questo è il riflesso di un atteggiamento comune nella mentalità degli eserciti della NATO. Le guerre di logoramento sono trattate come eccezioni, come qualcosa da evitare a tutti i costi e generalmente vengono considerate come conseguenze di errori di pianificazione dei Comandanti. La natura logorante del combattimento, che include l’erosione della professionalità dovuta al numero crescente di perdite, causa inevitabilmente effetti negativi sulla preparazione dei soldati sul campo di battaglia.

Il rischio più grande che si può affrontare mentre si combatte una guerra di logoramento è quello di concentrarsi esclusivamente sulla manovra, spendendo risorse preziose nel tentativo di guadagnare obiettivi territoriali che daranno vantaggi solo nel breve termine. Riconoscere che le guerre di logoramento hanno una loro propria dinamica è vitale per cercare di affrontarle senza subire un numero di perdite tale da paralizzare l’apparato di difesa di uno Stato.

Questo tipo di conflitti hanno un enorme dipendenza dalle economie nazionali, poiché devono essere in grado di consentire una mobilitazione di massa di coscritti che sia efficacemente supportata da settori industriali ben specifici. Gli eserciti, durante conflitti di questo tipo, crescono rapidamente di numero e richiedono enormi quantità di veicoli, droni, componenti elettronici e altre tipologie di equipaggiamento da combattimento.

Parlando in termini di produttività bellica, poiché gli armamenti tecnologicamente avanzati richiedono un sistema produttivo molto complicato e consumano una enorme quantità di risorse, per avere un vantaggio pratico sul campo di battaglia, sarà fondamentale creare unità composte da forze che utilizzino armamenti dotati di una tecnologia medio-alta, in modo che l’industria sia in grado di sostenere lo sforzo bellico il più a lungo possibile in termini di tempo e di risorse.

Le armi più tecnologicamente avanzate hanno senza ombra di dubbio delle prestazioni eccezionali ma sono complicate da produrre e possono diventare un problema quando sono necessarie per armare un esercito numeroso il più rapidamente possibile.

Un esercito che con ogni probabilità sarà soggetto a un alto tasso di logoramento di uomini e di risorse.

Durante la Seconda Guerra Mondiale i Panzer tedeschi erano carri armati eccellenti, ma utilizzando all’incirca le stesse risorse produttive, i sovietici erano in grado di produrre 8 carri T-34 per ogni Panzer tedesco[3]. La grande differenza qualitativa tra i due mezzi corazzati non sempre ne giustificava la disparità numerica in termini di produzione.

Va oltretutto considerato che armamenti più sofisticati richiedono anche personale più addestrato, che sia in grado di utilizzarli in maniera adeguata. Ma le truppe adeguatamente addestrate richiedono purtroppo molto tempo per essere create e il tempo è una risorsa che non è quasi mai disponibile in una guerra caratterizzata da alti tassi di logoramento.

Pertanto si dovrà puntare sulla produzione di un grande numero di armi e munizioni a basso costo, cercando di sviluppare, in coordinamento con il mondo industriale, dei sottocomponenti che siano intercambiabili con beni civili (ad esempio componenti elettroniche dell’automotive che vadano bene anche per sistemi di guida di vettori militari), garantendo in questo modo livelli di produzione elevati senza che sia necessario aumentare le linee di produzione industriale.

Il personale coscritto, e quindi meno addestrato, sarà pertanto in grado di utilizzare armamenti più semplici in tempi più rapidi, consentendo la generazione di nuove unità da combattimento in tempi più rapidi e la più semplice ricostituzione di quelle logorate dal conflitto.

Limiti degli eserciti occidentali

Gli eserciti della NATO sono composti da personale altamente qualificato e sono caratterizzati da una componente di sottufficiali di grande spessore, con una vasta formazione e grande esperienza militare acquisita nello svolgimento di operazioni diverse dalla guerra (peace keeping, peace enforcement ecc.). Il punto di forza di questa elevata professionalità (in termini anche di capacità di pianificazione, e di conoscenza delle procedure tecnico-tattiche) è l’importanza dell’iniziativa individuale dei Comandanti, poiché gli Stati Maggiori delle unità sono in grado di delegare un ampio margine decisionale agli ufficiali inferiori e ai sottufficiali[4].

La formazione delle linee di comando degli eserciti della NATO è in grado di fornire un’enorme agilità e flessibilità in grado di sfruttare le opportunità offerte da un campo di battaglia dinamico.

Campo di battaglia che si è trasformato in un sistema che comprende vari tipi di guerra elettronica (EW), diversi tipi di difesa aerea, diversi tipi di artiglieria (diventate più pericolose grazie alla portata aumentata e al targeting avanzato), innumerevoli tipi di aerei, droni da attacco e da ricognizione, fanteria tradizionale, formazioni corazzate e, soprattutto, logistica.

Con l’aumento delle dimensioni dello spazio di battaglia è aumentato anche il numero e la complessità delle risorse che devono essere gestite ed integrate e il loro impiego richiede una pianificazione centralizzata e personale altamente qualificato, in grado di possedere molteplici capacità[5].

Ci vogliono anni per addestrare ufficiali di tale preparazione e anche l’esperienza di combattimento non sarà in grado di generare tali abilità in breve tempo. TTPs e procedure standardizzate possono aiutare in questo senso, ma solo in parte. Le operazioni offensive dinamiche richiedono tempi di reazione rapidi, che ufficiali non adeguatamente preparati non sono in grado di eseguire. Nelle guerre di logoramento, questo tipo di formazione potrebbe risultare essere uno svantaggio. Gli ufficiali e i sottufficiali richiedono una formazione approfondita e, soprattutto, molta esperienza. Un sottufficiale di un esercito della NATO, mediamente impiega dai tre ai cinque anni per formarsi in maniera adeguata. Nel corso di una guerra con alti tassi di attrito, caratterizzata da alti tassi di perdite (morti e feriti), quasi sicuramente non ci sarà il tempo per rimpiazzare gli ufficiali inferiori e i sottufficiali perduti con personale parimenti addestrato.

Conflitto durante, ai nuovi arruolati, con corsi di addestramento di tre mesi non si potranno garantire gli stessi risultati formativi che si sono conseguiti con personale veterano che possiede quattro o cinque anni di esperienza alle spalle. Soltanto il tempo è in grado di generare leader capaci di una efficace e concreta autonomia decisionale ma il tempo, come già detto, è una risorsa che contrasta con le massicce esigenze in termini di uomini tipiche di una guerra di logoramento.

L’Unione Sovietica aveva costruito il suo esercito in modo che fosse in grado di affrontare un conflitto su larga scala contro gli eserciti della NATO. La macchina da guerra doveva essere in grado di aumentare esponenzialmente di numero in tempi ridottissimi, richiamando un numero gigantesco di coscritti.

Ogni uomo adulto nell’Unione Sovietica, al termine delle scuole superiori, doveva seguire un corso di formazione militare di due anni. I cicli addestrativi continui e ripetitivi del personale arruolato non consentiva la creazione di un corpo sottufficiali di qualità in stile occidentale, ma aveva il vantaggio di generare un enorme bacino di riserve semi-addestrate disponibili in caso di guerra[6]. L’assenza di sottufficiali affidabili ha quindi generato un modello di comando incentrato sugli ufficiali, molto meno flessibile di quello della NATO ma più adattabile all’espansione numerica richiesta dalle guerre di logoramento (quanto avviene oggi in Ucraina ne è una chiara dimostrazione).

Tuttavia alcuni analisti militari hanno osservato che, quando un conflitto comincia a superare i 12 mesi, le unità di prima linea tendono ad acquisire comunque esperienza in combattimento ed è altamente probabile che riesca comunque ad emergere un corpo sottufficiali più preparato, dando così al modello sovietico una flessibilità maggiore.

Un modello efficace pertanto sembrerebbe essere un misto dei due modelli, in cui uno Stato mantenga un esercito professionale di medie dimensioni, mentre si concentra anche sulla creazione di un bacino di reclute disponibili per una mobilitazione. La componente professionale costituirà la fascia altamente addestrata dell’esercito eventualmente mobilitato e ne potrà fare da bacino da cui attingere per costruire le catene di comando. Le formazioni militari con un addestramento mediobasso verranno utilizzate per mantenere la linea del fronte e potranno acquisire esperienza in combattimento, aumentando la loro qualità finché non acquisiranno le capacità di condurre operazioni offensive.

Come essere pronti?

La chiave di volta potrebbe essere quella di creare molte formazioni di soldati con una preparazione medio-bassa ma della massima qualità possibile.

La trasformazione di queste nuove unità in soldati in grado di combattere avverrà attraverso l’addestramento e con l’acquisizione dell’esperienza in combattimento. Queste nuove formazioni, composte da riservisti con un precedente addestramento individuale, dovrebbero addestrarsi per un periodo di almeno tre mesi prima di essere impiegate in battaglia. A queste unità verranno affiancati soldati e sottufficiali presi dalla componente professionistica, che siano in grado di elevare il livello di professionalità della massa. Una volta completata la formazione iniziale, queste unità dovrebbero essere avviate in battaglia prima in settori secondari, al fine di avere tempo per acquisire esperienza in contesti dove il tasso di logoramento è ancora accettabile, per poi essere impiegate in prima linea. Per quanto riguarda invece il rimpiazzo delle perdite, nessuna unità dovrebbe scendere al di sotto del 70% della forza totale. Le unità che cominciano a subire perdite pesanti, che scendano al di sotto di questa soglia, dovrebbero essere ritirate dal fronte per consentire l’arrivo dei nuovi rimpiazzi e per fare in modo che i veterani abbiano il tempo necessario per trasmettere le loro capacità acquisite.

In caso contrario, si rischierà di perdere ulteriore preziosa esperienza esponendo unità già ridotte ad un tasso di logoramento che potrebbe pregiudicarne anche l’operatività minima.

Oltretutto, se per qualche motivo le nuove risorse dovessero essere generate in numero limitato, la logica dovrebbe essere quella di dare priorità al rimpiazzo delle unità usurate invece della creazione di nuove unità da combattimento, cercando di equilibrare il livello delle formazioni sul fronte.

In alcuni casi, potrebbe dover essere necessario sciogliere unità dell’esercito professionale per distribuire soldati addestrati e capaci tra le nuove unità appena create per poter aumentare la qualità iniziale.

Le operazioni militari in un conflitto di logoramento sono ben distinte da quelle necessarie per condurre una guerra di manovra. Invece di una battaglia decisiva ottenuta attraverso manovre rapide e dai tempi ridotti, la guerra di logoramento si concentra sulla distruzione delle forze nemiche e sulla loro capacità di rigenerare la capacità di combattimento, cercando al contempo di preservare la propria.

La forma dominante di combattimento sarà pertanto il fuoco piuttosto che la manovra, integrato da estese fortificazioni e complessi lavori sul campo di battaglia. Si condurranno azioni di contenimento per poter fornire il tempo necessario per mobilitare le risorse e addestrare il nuovo personale mobilitato. Cioè fino a quando le forze mobilitate avranno completato il loro addestramento e acquisito sufficiente esperienza per essere impiegate efficacemente nelle unità da combattimento di prima linea.

Le azioni di contenimento e le battaglie posizionali dovranno essere mantenute fino a quando non si riuscirà ad ottenere una superiorità di fuoco tale da negare l’iniziativa al nemico, consentendoci così di tentare uno sblocco da questo stallo iniziando le operazioni offensive.

Prioritariamente si dovrebbero tentare contro attacchi su un ampio fronte, cercando di sopraffare il nemico su più punti, fino al collasso del fronte posizionale, a cominciare dalle aree dove le riserve nemiche si saranno esaurite.

Solo allora l’offensiva dovrebbe provare a spingersi verso obiettivi più profondi nelle retrovie nemiche. La concentrazione delle forze su un unico sforzo principale dovrebbe essere evitata poiché ciò potrebbe fornire un’indicazione sulla posizione dell’offensiva e un’opportunità per il nemico di concentrare le proprie riserve contro questo punto chiave.

L’offensiva Brusilov del 1916, che portò al crollo dell’esercito austro-ungarico, è un buon esempio di offensiva durante una guerra di logoramento. Attaccando su un ampio fronte, l’esercito russo impedì agli austro-ungarici di concentrare le proprie riserve, provocando il collasso su tutto il fronte.

Il successo di una guerra di logoramento si concentra sulla preservazione della propria potenza di combattimento. Solitamente questo genera un fronte relativamente statico interrotto da limitati attacchi locali che mirano a ottenere guadagni territoriali locali e caratterizzato da un utilizzo massiccio dell’artiglieria. Fortificare il campo di battaglia e nascondere le forze, compresa la componente logistica, è fondamentale per cercare di ridurre al minimo le perdite.

Una complessa opera di fortificazioni e lavori sul campo di battaglia, renderà difficili dei significativi cambiamenti del fronte. Chi conduce operazioni offensive senza avere possibilità di trincerarsi rapidamente, sarà condannato a subire perdite significative a causa del fuoco martellante dell’artiglieria nemica.

Al contrario le operazioni difensive faranno guadagnare tempo per approntare nuovi scaglioni di coscritti che, una volta schierati sul fronte, acquisiranno esperienza di combattimento senza il rischio di subire pesanti perdite in operazioni offensive su larga scala. Così facendo si creeranno unità da combattimento con esperienza crescente che potranno generare unità capaci di affrontare future operazioni offensive.

Anche per questo motivo, un esercito che avrà compreso questa dinamica eviterà di impegnarsi in battaglie in condizioni sfavorevoli, dove le unità vengano impiegate per conquistare una porzione di territorio che non abbia un valore vitale o che sia irrilevante per il prosieguo della campagna. È sempre meglio attendere e preservare le forze, indipendentemente dalle conseguenze politiche di questa scelta. Combattere su terreni svantaggiosi per futili motivi ha come conseguenza solo quella di bruciare le unità, perdendo soldati esperti che sono invece fondamentali per il successo di una campagna militare.

L’ossessione tedesca per Stalingrado nel 1942 è un ottimo esempio di lotta su terreno sfavorevole per ragioni politiche. La Germania bruciò unità vitali che non poteva permettersi di perdere, semplicemente per catturare una città che portava il nome di Stalin.

Spendere materiale vitale e riserve in operazioni strategicamente prive di significato è senza ombra di dubbio la strada giusta per un inevitabile collasso. Uno dei maggiori rischi è quello di essere trascinati nello stesso errore in cui si cerca di far cadere il nemico.

Nella Prima Guerra Mondiale, i tedeschi commisero questo errore durante la battaglia di Verdun[7], quando progettarono di usare la sorpresa per conquistare territori chiave e politicamente sensibili, provocando costosi contrattacchi francesi. Sfortunatamente per i tedeschi, essi caddero nella loro stessa trappola. Non riuscirono a conquistare un terreno chiave e difendibile nella fase iniziale, e la battaglia si trasformò invece in una serie di costosi assalti di fanteria da entrambe le parti, con fuochi di artiglieria che devastarono la fanteria attaccante.

Conclusioni

La strategia di logoramento, incentrata sulla difesa, può apparire controintuitiva per la maggior parte dei pensatori militari occidentali. La preparazione militare occidentale vede nell’offensiva l’unico mezzo per raggiungere l’obiettivo strategico decisivo di costringere il nemico a sedersi al tavolo delle trattative a condizioni sfavorevoli. Rimanere in difesa avendo la pazienza strategica necessaria per creare le condizioni per un’offensiva va contro l’esperienza acquisita nello svolgimento delle operazioni di contro insurrezione all’estero (Iraq, Afghanistan…).

La condotta delle guerre di logoramento è molto diversa dalle guerre di manovra. Durano più a lungo e finiscono per mettere alla prova la capacità industriale di un Paese. La vittoria è assicurata da un’attenta pianificazione, dallo sviluppo di una adeguata base industriale e dallo sviluppo di infrastrutture idonee alla mobilitazione già in tempo di pace (e da una gestione ancora più attenta delle risorse in tempo di guerra).

La vittoria si ottiene analizzando attentamente i propri obiettivi politici e quelli del nemico. La chiave è riconoscere i punti di forza e di debolezza del proprio tessuto economico-industriale ed identificare le strategie produttive che hanno maggiori probabilità di generare il massimo delle risorse. Queste risorse possono quindi essere utilizzate per costruire una macchina bellica con le caratteristiche precedentemente descritte.

La condotta militare della guerra deve essere guidata da obiettivi strategici politici generali, dalla realtà della condizione delle forze armate e dalle limitazioni economiche che sono già note. Le operazioni di combattimento saranno superficiali e si concentreranno sulla distruzione delle risorse nemiche e non sulla conquista di territori. Con la giusta pazienza e con un’attenta pianificazione, una guerra può essere combattuta e vinta.

Sfortunatamente, molti di noi in Occidente hanno un atteggiamento poco incline alla comprensione delle guerre di attrito, e continuano a vedere i futuri conflitti come brevi e decisivi. Ma questo non è più sempre vero proprio per le ragioni sopra esposte. La convinzione che una potenza militare si ritirerebbe nel caso di una sconfitta militare iniziale è oramai da abbandonare, e il caso Ucraino lo dimostra chiaramente.

Qualsiasi conflitto, d’ora in poi, verrà visto dall’avversario come esistenziale e combattuto con tutte le risorse a disposizione dello Stato. La guerra che ne scaturirà diventerà logorante e favorirà lo Stato che possiede la società, l’economia, la dottrina e la struttura militare più adatte a questa forma di conflitto.

Se l’Occidente è veramente conscio di quello che afferma quando parla di un possibile imminente conflitto tra grandi potenze, deve esaminare attentamente la propria capacità industriale, la dottrina della mobilitazione e la disponibilità di mezzi per condurre una guerra di lunga durata, piuttosto che continuare ad impegnarsi in esercitazioni che coprano un solo mese di conflitto, sperando che la guerra finisca velocemente.

Prima capiremo questa urgenza e prima saremo pronti ai conflitti che verranno.


Note:

[1] Le munizioni circuitanti sono sistemi d’arma ibridi con caratteristiche di missili e droni. Questa combinazione fornisce loro capacità uniche, in precedenza sconosciute ai sistemi d’arma, ovvero, recuperabilità e riutilizzo, lunga durata di volo e fornitura di dati ISR, traiettoria di volo non determinata, sistemi di propulsione alimentati a batteria e altro. Munitions Safety Information Analysis Center (MSIAC). Feb. 2024.

[2] L’Attrition Warfare viene identificata come una strategia militare che consiste in tentativi bellici di vincere una guerra logorando il nemico fino al collasso attraverso continue perdite di personale, materiali e morale (Library of Congress).

[3] https://it.quora.com/Quali-sono-i-vantaggi-e-gli-svantaggi-del-Panzer-IV-rispetto-ad-altri-carri-medi-opesanti-come-lo-Sherman-Firefly-il-T-34-lo-Sherman-M4A3E8-e-lIS-2

[4] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/1/pdf/200114-nco-corps-prof-dev-ref-guid.pdf

[5] Per avere una iniziale idea del concetto può essere utile visitare la pagina dell’Allied Command for Transformation della NATO in merito alle Multi Domain Operations. (https://www.act.nato.int/activities/multidomain-operations/).

[6] Chris McNab, “Il grande orso in guerra. L’esercito russo e sovietico dal 1917 a oggi.”, LEG Edizioni, 2022.

[7] Sulla battaglia di Verdun consiglio: Paul Jankowski, “La battaglia di Verdun”, il Mulino, 2014.

  • Tenente Colonnello dell’Esercito proviene dai corsi regolari dell’Accademia Militare di Modena. Ha trascorso gli ultimi 20 anni tra la Brigata paracadutisti “Folgore” e l’ufficio operazioni del Comando delle Forze Terrestri a Roma. Specializzato in intelligence militare del livello tattico e di OSINT.
    Attualmente si occupa di addestramento e tecnologie per la simulazione.

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