Politologia

Il clan Assad: 54 anni tra tribalismo, panarabismo e nazionalsocialismo

Quella del clan Assad è una storia che si sovrappone agli ultimi sessant’anni della Siria, Paese che il suddetto clan ha dominato col terrore, ma, va detto, anche con una certa razionalità e con uno stile ben più sobrio rispetto alle buffonate dei vari Gheddafi o Saddam Hussein.

Caratteristica peculiare di tale famiglia (da notare che nel mondo arabo il concetto di famiglia ha una certa similitudine con quello di Cosa Nostra) è di appartenere alla setta religiosa alawita, un ramo “eretico” dell’islam sciita, a sua volta considerato eretico dai sunniti, ovvero la stragrande maggioranza dei musulmani. Pertanto gli alawiti, da sempre minoritari anche in Siria, agli occhi di quasi tutti gli islamici sono visti come eretici/scismatici. Tuttavia, come spesso accade, l’appartenere ad una doppia minoranza ha fatto sì che gli alawiti abbiano sviluppato nei secoli un’intraprendenza economica ed un fiuto politico superiore alla media del mondo arabo.

Fondatore del dominio familiare è stato Hafez-al Assad (1930-2000). Nato in relativa povertà durante il periodo coloniale francese, si dimostrò ben presto un brillante studente. Dopo aver frequentato al liceo gli ambienti dei partiti di area nazionalista e socialista, nel 1946 si unì al partito Ba’ath, ovvero una formazione laica avente parecchie similitudini ideologiche con il nazismo tedesco ed il fascismo italiano. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, ovviamente, i baathisti spostarono il loro modello dall’ex blocco nero a quello rosso, vedendo nell’Unione Sovietica il proprio alleato naturale. Per loro non fu uno stravolgimento politico, poiché il nocciolo del “pacchetto ideologico” era il medesimo: antioccidentalismo furbescamente definito “antimperialismo”, pianificazione economica, retorica rivoluzionaria, secolarizzazione e sfrenato antisemitismo, a cui dopo l’Olocausto la sinistra è stata abile a cambiare il titolo in “antisionismo”.

Da notare che fin dalle superiori Assad padre fu in contrasto con i Fratelli Musulmani, già allora la più importante formazione politica di matrice islamica del mondo arabo. Tale antipatia, lautamente ricambiata, avrebbe accompagnato il clan fino ai giorni nostri.

Con la fine delle scuole superiori il padre di Assad avrebbe voluto mandare il promettente rampollo presso l’Università cattolica dei Gesuiti di San Giuseppe a Beirut, ma non potendo permettersela fece entrare il ragazzo all’Accademia Militare di Homs, da cui Assad uscì come ufficiale d’aviazione. Era il 1955 ed il futuro dittatore dimostrò subito di avere ampie doti come pilota militare, tanto che nel ’57 fu inviato in Unione Sovietica per un corso d’addestramento di 13 mesi: un riconoscimento agognato da tutti i militari del Blocco filosovietico. Ormai il nostro protagonista, benché ancora giovane, stava diventando un punto di riferimento sia nel partito Ba’ath che tra gli ufficiali delle Forze Armate.

Ormai trentaduenne, nel 1962, ebbe una piccola parte nel fallito colpo di Stato organizzato dai militari. Il fallimento dei golpisti costò ad Assad un breve periodo di detenzione in Libano, ma ormai il vecchio regime era talmente consunto che nel 1963 un nuovo pronunciamento baathista ebbe successo ed instaurò in Siria un Governo militare, che diede ad Assad il comando dell’aviazione.

La prima sfida per il nuovo esecutivo fu la Rivolta di Hama del 1964, in cui la Fratellanza Musulmana insorse nell’omonima città con l’obbiettivo di trasformare la Siria in un Paese fondamentalista. Tuttavia si era ancora in un periodo in cui l’ideologia e le illusioni del socialismo “laico e pianificato” erano forti, pertanto l’esercito riuscì a schiacciare la rivolta con relativa facilità. Da notare che nella riunione governativa d’emergenza Assad votò per l’uso della forza contro i ribelli. Non sappiamo se lo fece perché, in quanto laico, disprezzasse gli islamisti o perché, in quanto alawita, colse l’occasione per “tosare” un po’ di sunniti. Forse entrambe le cose.

Rara immagine del colpo di stato del 1966

Tuttavia anche la leadership militare restava afflitta da una grave instabilità. Nel 1966 un gruppo di alti ufficiali effettuò un golpe contro i propri colleghi ed instaurò un nuovo esecutivo guidato dal generale Salah Jadid (1926-1993). Da notare che questo affare interno tra i militari fu anche un affare interno al partito Ba’ath, nel quale la corrente più prettamente nazionalista siriana epurò quella più tendente al panarabismo. Ciò provocò una rottura con l’altro polo del baathismo: l’Iraq. Malgrado tutta la retorica internazionalista risultò evidente che il panarabismo crollava di fronte alla volontà dei singoli Stati (a loro volta divisi per linee etniche, religiose e tribali) di dominare gli altri. Inoltre il baathismo siriano, a volte definito neobaathismo, spostò molto a sinistra la linea del partito ed inserì ulteriormente la Siria nell’orbita sovietica. In ogni caso nel nuovo Governo la posizione di Assad risultò rafforzata, raggiungendo il ruolo di Ministro della Difesa.

Ma non era finita! Pochi mesi dopo, sempre nel 1966, un altro colpo di Stato cercò di rovesciare Jadid, ma il tentativo fallì in gran parte grazie all’intervento di Assad. Ovviamente ogni golpe, riuscito o fallito che fosse, portò a continue epurazioni tra i quadri delle Forze Armate prima che nuovi ufficiali avessero il tempo di accumulare esperienza per prendere il posto di quelli politicamente (e non solo politicamente) bruciati.

Ciò portò la macchina bellica siriana ad avere una leadership di pessimo livello nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, in cui Israele annientò con imbarazzante facilità le Forze Armate di Egitto, Siria e Giordania. Questa sconfitta costò alla Siria le Alture del Golan, un territorio relativamente piccolo, ma di enorme valore strategico, in quanto il Golan è un muro naturale che domina ad ovest il Lago Tiberiade (la maggior riserva idrica di Israele) e ad est la pianura che porta a Damasco. In breve con tale perdita i siriani passarono dal poter cannoneggiare impunemente i villaggi israeliani sottostanti (cosa fatta in continuo anche in tempo di pace) ad avere la capitale ad un tiro di schioppo dal confine.

Un tale disastro, inevitabilmente, portò a feroci recriminazioni e scarica barile interni alla leadership. Come Ministro della Difesa Assad fu in prima fila per i papabili di licenziamento (o peggio), ma il Comando Regionale del partito Ba’ath lo salvò per un solo voto.

Da quel giorno Assad, che finora aveva cercato di mantenere un profilo prettamente militare, iniziò a sviluppare le sue idee politiche. Rispetto a Jadid ritenne un errore il concetto di guerra popolare, puntando invece su una maggiore professionalizzazione delle Forze Armate. Jadid credette molto nella possibilità di una rivolta o almeno di una guerriglia fatta dai palestinesi, mentre Assad per questi ultimi ebbe sempre poca considerazione. Infine Jadid ruppe le relazioni con Giordania ed Arabia Saudita, ritenendoli Governi reazionari e non in linea con la rivoluzione socialista araba, mentre Assad puntava alla distruzione di Israele con l’aiuto sia delle armi sovietiche che dei petrodollari sauditi, mettendo in secondo piano i princìpi ideologici. Come si vede Assad era dotato di grande pragmatismo, probabilmente causato dall’essere membro una minoranza (le minoranze devono sempre sapersi destreggiare) e rafforzato dai tredici mesi passati in Unione Sovietica, regime teoricamente ideologico ma pratico come un contadino russo che deve superare l’inverno. Seguirono tre anni in cui Jadid rimase padrone del partito, mentre Assad divenne il rappresentante indiscusso dell’esercito.

Inoltre nel 1968 i baathisti iracheni, da cui in breve sarebbe emerso Saddam Hussein quale dittatore indiscusso, presero il potere a Baghdad, ovviamente con un colpo di Stato. Assad propose un riavvicinamento all’Iraq, mentre Jadid rimase fermo nella sua ostilità.

Ovviamente al Cremlino la situazione siriana era ben nota e i russi, come è facile intuire, iniziarono senza indugi ad appoggiare Assad.

Poiché un proverbio mongolo dice che due teste di montone non possono cuocere nella stessa pentola, dopo tre anni di tensione nei quali scorse anche del sangue, si arrivò all’inevitabile. Fu Assad a spuntarla e, nel novembre del 1970, Jadid e i suoi sostenitori vennero arrestati. Curiosamente il golpe di Assad fu incruento: la compattezza delle Forze Armate ed una certa stanchezza generale rese inutile il solito balletto di esecuzioni, torture e linciaggi. Jadid ed in suoi ebbero “solo” l’ergastolo.

Arrivato al potere Assad mise in soffitta molto del marxismo militante della precedente leadership, creando un sistema economico misto statale/privato ed assumendo pose più simili al gollismo che ai mostri sacri della storia comunista. Ovviamente tale rilassatezza ideologica fu un toccasana per l’economia, che usciva devastata dalla gestione quasi leninista di Jadid. Anche nell’abbigliamento Assad diede un’immagine ben più seria rispetto a gran parte del mondo arabo: spesso in giacca e cravatta di stilisti italiani o francesi, se in divisa evitò sempre le uniformi pacchiane alla Saddam o i completi da clown di Gheddafi.

Queste operazioni valsero ad Assad una meritata immagine di serietà, un miglioramento nelle relazioni con gli altri Stati arabi ed il completo sostegno dei sovietici. In particolare a Mosca il relativo spostamento a destra della piattaforma politica del regime era insignificante rispetto al valore di una leadership competente e stabile: ennesima prova che al Cremlino il pragmatismo ha albergato prima, durante e dopo la parentesi sovietica.

L’incontro di Hafez-al Assad con Fidel Castro a Cuba

Ma il capolavoro di Assad padre fu la divisione interna delle cariche di potere. Governando su una popolazione estremamente variegata (in ordine decrescente arabi sunniti, arabi sciiti, curdi, arabi cristiani, arabi drusi ed altre minoranze più piccole) Assad fu abile a dare qualche incarico a tutte le comunità etno-religiose, stando attento a mantenere la guida delle Forze Armate saldamente nelle mani degli alawiti come lui.

La prima grande sfida per il nuovo regime arrivò nel 1976, quando esplose una rivolta di matrice fondamentalista sunnita, che presto sarebbe stata cavalcata ed ingigantita dalla Fratellanza Musulmana. Ne seguì una lotta di insurrezione e contro-insurrezione che durò fino al 1982. Quell’anno, dopo aver ripulito le campagne, l’esercito di Assad circondò Hama, la città madre della rivolta ed ultimo caposaldo in mano ai fondamentalisti. Poco meno di 30.000 soldati al comando di un fratello di Assad assediarono l’abitato per 12 giorni, facendo largo uso di artiglieria ed aviazione. Quando infine scattò l’assalto finale non vi fu quartiere. L’esito della prima grande rivolta islamica siriana fu di forse 40.000 insorti uccisi, la deportazione interna di circa 100.000 sunniti e la messa fuori legge della Fratellanza Musulmana.

Repressione a parte bisogna sottolineare che il regime di Assad padre all’inizio fu visto come un miglioramento rispetto alla disastrosa gestione di Jadid e soci, ma ben presto divenne anche sintomo di corruzione, formidabili ruberie da parte della leadership (famigliari del Presidente compresi), nepotismo e perenne crisi economica. Mali che hanno accompagnato il regime anche con Assad figlio.

In politica estera Assad ebbe un solo obbiettivo: ingrandire la Siria, ovvero recuperare il Golan e possibilmente annettere il Libano. Questo avrebbe in parte creato la “Grande Siria” ipotizzata da alcuni intellettuali arabi. Per raggiungere tali ambiziosi traguardi si dovevano prima ricostruire le Forze Armate, uscite demolite dalla Guerra dei Sei Giorni. A questo pensarono i sovietici, che inviarono in Egitto ed in Siria una quantità enorme di armi, equipaggiamenti ed istruttori.

Il giorno della tentata rivincita arrivò nel 1973, quando Egitto e Siria (col supporto di gran parte del mondo arabo) attaccarono Israele nella Guerra dello Yom Kippur. Grazie all’effetto sorpresa per i primi tre giorni sia nel Sinai che sul Golan gli arabi avanzarono, al punto che in Israele si temette il peggio (ed il Governo di Gerusalemme si preparò ad utilizzare l’arma atomica). Ma presto il panico passò ed il contrattacco israeliano confermò per l’ennesima e non ultima volta la superiorità bellica dello Stato ebraico sui suoi nemici. Quando le grandi potenze imposero il cessate il fuoco le forze israeliane erano a poco più di 30 chilometri da Damasco e sul punto di annientare o costringere alla resa per sete l’intera Terza Armata egiziana.

Di fronte all’ennesima sconfitta contro Israele i regimi egiziano e siriano reagirono con strategie opposte. Il Presidente/dittatore egiziano Anwar al-Sadat (1918-1981) chiuse l’alleanza coi sovietici (di cui aveva già espulso gli assistenti militari), si riallineò all’Occidente e firmò una pace con Israele che, in cambio di una frontiera sicura, garantì la restituzione del Sinai all’Egitto. Assad invece si chiuse ancora di più nella feroce retorica antisionista ed entrò in gara con l’Iraq di Saddam per accreditarsi quale alleato numero uno di Mosca nel mondo arabo.

Impossibilitato a riconquistare il Golan, Assad cercò in Libano il suo potenziale fronte di gloria. Il Paesi dei Cedri vide il suo delicato equilibrio religioso saltare con l’arrivo di centinaia di migliaia di palestinesi sunniti, che nel 1975 scatenarono la guerra civile. Sfruttando le divisioni interne al Libano e col malcelato sogno di annettersi l’intero Paese la Siria intervenne nel 1976. Seguirono sei anni di lotte settoriali talmente complesse da risultare impossibili da riassumere nel presente articolo. La svolta arrivò nel 1982 quando, a seguito dell’ennesimo attentato sul suo territorio e contro i civili, anche Israele invase il Libano. Ne seguì un conflitto in cui i siriani vennero nuovamente umiliati dagli israeliani, ma riuscirono a mantenere una forte influenza nel nord del Libano. Israele, dal canto suo, creò una fascia di sicurezza nel sud del Paese dei Cedri.

Con la caduta del Muro di Berlino e l’imminente decomposizione sovietica il regime di Assad rischiava seriamente di trovarsi isolato a livello internazionale. Pertanto nel 1991 il dittatore di Damasco prese una decisione tanto abile quanto spregiudicata: contribuire con le proprie truppe alla missione ONU guidata dagli USA contro l’Iraq di Saddam che aveva occupato il Kuwait. Con questa mossa Assad non solo si diede una parziale ripulita a livello diplomatico che gli garantì di morire al potere, ma poté anche prendersi la soddisfazione di partecipare al conflitto che debilitò irrimediabilmente l’Iraq, Stato guidato dalla fazione rivale a quella siriana del partito Ba’ath.

Negli anni ’90 la salute del dittatore andò declinando, pertanto questi iniziò a ragionare sul proprio successore. La prima opzione fu il fratello che aveva sterminato i fondamentalisti ad Hama, ma costui si bruciò in una congiura di palazzo. Il candidato divenne quindi il figlio maggiore, Bassell al-Assad (1962-1994) che però rimase ucciso in un incidente d’auto. La scelta cadde quindi sul secondogenito Bashar (1965-vivente), malgrado la sorella maggiore Bushra (1960-vivente) lo ritenesse poco adatto al comando. Bushra era la figlia prediletta ed aveva sul padre un’enorme influenza, al punto che, se non fosse stata una donna, sarebbe stata sicuramente lei l’erede (cosa inconcepibile nel mondo islamico). Pertanto, pur temendo per il futuro del clan, il patriarca indicò Bashar quale erede.

Una delle ultime foto di Hafez-al Assad

Se a qualcuno questa saga di potere familiare fa venire in mente il capolavoro “Il Padrino” non si imbarazzi, fa solo compagnia all’autore del presente articolo.

Hafez al-Assad morì di infarto il 10 giugno del 2000 all’età di 69 anni.

Il passaggio di poteri al figlio Bashar avvenne senza intoppi e così, con l’inizio del nuovo millennio, veniva inaugurata l’era di Assad figlio. Curiosità: appena sei mesi prima Vladimir Putin era stato nominato Primo Ministro, dando il via alla sua conquista del potere assoluto in Russia.

Schiacciato dall’ombra del padre, furono in molti a pensare che il regime del figlio sarebbe stata una breve parentesi destinata a concludersi con una rivoluzione o un colpo di Stato. Ma Bashar fu abile. Ben istruito ed in possesso di un solido background istituzionale e militare (il padre lo aveva fatto diventare medico ed ufficiale di alto livello previa Accademia Militare), il giovane Assad seppe tenersi in sella continuando le politiche del padre: settarista all’interno e prudente all’estero. Un esempio su tutti arrivò a seguito dell’11 settembre, quando la Siria condannò ufficialmente l’intervento americano in Afghanistan e continuò nella sua feroce retorica anti Israele, ma sottobanco collaborò efficacemente con la CIA per l’annientamento di al-Qaeda. Pragmatismo assadiano al cento per cento.

Bashar al-Assad negli anni 2000.

Malgrado ciò il Paese rimaneva estremamente povero, corrotto, sottoposto ad una feroce repressione ed affetto dal tipico male delle dittature: pensare di poter fare il passo più lungo della gamba. Da qui arrivarono le prime due sconfitte. La prima avvenne in Libano, Paese esasperato dall’occupazione siriana che nel 2005, a seguito della cosiddetta Rivoluzione dei Cedri, obbligò la Siria a ritirare le sue truppe. Non vi furono combattimenti, ma un milione di manifestanti e la pressione internazionale indussero Assad a mollare l’osso senza sparare.

La seconda fu il tentativo, economicamente debilitante e diplomaticamente azzardato, di dotarsi dell’arma nucleare. Il programma atomico, supportato dalla Corea del Nord, prese forma nei primi anni 2000 finché, nel 2007, gli israeliani attuarono un raid con otto velivoli e distrussero l’impianto, dimostrando per l’ennesima volta che le Forze Armate dello Stato ebraico potevano fare il bello ed il cattivo tempo in barba a quelle siriane.

I successivi quattro anni furono relativamente tranquilli per il regime finché, nel 2011, anche la Siria fu colpita dalle Primavere Arabe (che nel mondo arabo sono meno ipocritamente chiamate Risveglio Islamico). Sulle prime sembrò che il regime Assad dovesse crollare, in quanto si ribellarono la maggioranza dei sunniti, i curdi e persino i drusi. Poiché la famiglia Assad aveva coltivato molte inimicizie internazionali la situazione si fece disperata. Gli Stati Uniti del Presidente Obama appoggiarono i ribelli cosiddetti moderati in nome della democrazia, mentre la Turchia appoggiò la sua fazione alleata ed occupò (ed occupa tuttora) due porzioni di territorio siriano, azione coerente con la politica neo-ottomana di Erdogan. Più prudente, fin dall’inizio, fu Israele. Buoni conoscitori dei propri nemici, gli israeliani capirono subito che il rovesciamento di Assad avrebbe aperto le porte ai fondamentalisti della Fratellanza Musulmana o peggio, gente priva di razionalità nel senso che la Civiltà Occidentale dà al termine. Meglio quindi avere al potere un Assad, per giunta indebolito, che era sì un nemico storico, ma anche un ex militare ed un pragmatico di scuola sovietica, leader di un regime di arricchiti il cui primo obbiettivo era continuare a gozzovigliare. Questa differenza di vedute fu una delle ragioni che crearono un pessimo rapporto tra il terzomondista Obama ed il pragmatico destroide Netanyahu.

Ma i sunniti esagerarono. O meglio: mostrarono troppo presto la loro natura. In breve tempo la maggior parte della Siria cadde nelle mani dell’autoproclamato Stato Islamico, una compagine di tagliagole che annunciò la rifondazione del califfato avente l’obbiettivo di sterminare tutti gli infedeli e di conquistare il mondo. Un tale esempio di scriteriati al potere avrebbe potuto, né più né meno, far esplodere le masse islamiche di mezzo mondo (tanto quelle indigene che quelle immigrate in Occidente) in un delirio di furia omicida. Pertanto nacque una coalizione internazionale che con attacchi aerei e qualche operazione mirata sul campo annientò lo Stato Islamico. Di questa coalizione fecero parte gli Stati Uniti (passati sotto la prima Amministrazione Trump), altri Paesi del Blocco Occidentale e la Russia. Putin in particolare fu abilissimo a ritagliarsi la parte del nemico numero uno dei fondamentalisti e Mosca, in cambio di due basi militari in Siria, poté vantarsi di aver salvato il regime di Assad. Questi, in cambio, fu uno dei pochi Stati che all’ONU appoggiarono Putin nel suo colpo di testa di invasione dell’Ucraina.

Una recente immagine di Bashar al-Assad.

Dopo aver seriamente rischiato il crollo nel 2016, pertanto, Assad figlio aveva dato prova (complice l’aiuto internazionale) di essere un dittatore più coriaceo del previsto ed un degno successore del padre. Tra il 2020 ed il dicembre del 2024 pertanto il grosso del territorio siriano era tornato sotto l’autorità del regime baathista, con le seguenti eccezioni: una base militare statunitense nel deserto al confine con la Giordania, una vasta regione nel nordest in mano ai curdi (che però spesso collaboravano con Assad contro i fondamentalisti ed i turchi), due strisce nel nord occupate dalla Turchia e una provincia nel nordovest in mano ai cosiddetti ribelli “democratici”, in realtà vassalli dei turchi. Lo Stato Islamico, dal canto suo, dopo aver rischiato la conquista di tutta la Siria e di mezzo Iraq, era ridotto a poche isole di guerriglia nel deserto.

Si trattava ovviamente di un equilibrio instabile, destinato a saltare al primo scossone. E, parafrasando il titolo di un celebre film, “lo scossone venne dal freddo”. Impantanato nella sua folle avventura in Ucraina da quasi tre anni, Putin è stato costretto a ritirare le (poche) unità russe che puntellavano il regime di Assad per rimpinguare le truppe dissanguate in Ucraina. Ne è seguita l’ennesima offensiva ribelle che, in appena cinque giorni, ha provocato la scomparsa del potere baathista, l’evaporazione del suo esercito e la fuga dello stesso Assad che, caricati i principali famigliari e parecchi miliardi, è volato a Mosca su un aereo russo.

Un crollo talmente repentino che ha dimostrato quanto il potere del clan Assad, dopo 54 anni, ormai fosse come un albero imponente ma dalle radici marce: al primo colpo di vento è venuto giù tutto.

Un’effige di Bashar al-Assad viene incendiata e crivellata di colpi in Siria.

Al momento della scrittura del presente articolo la situazione siriana è ancora in piena evoluzione, inoltre esula dal nostro argomento.

Concludiamo quindi con due considerazioni. La prima è che nei suoi 54 anni di dominio la dinastia Assad ha rappresentato uno dei migliori esempi di dittatura araba semi-laica di scuola nazionalsocialista. Ciò significa che al netto delle solite repressioni, dei massacri, della tortura dei dissidenti e delle stupide avventure belliche contro Israele tutte finite in umiliazioni, gli Assad sono stati capaci, a modo loro, di dare alla Siria un’immagine di serietà internazionale. Immagine che spesso ha oscurato l’estrema povertà della popolazione.

La seconda considerazione è di politica estera. Assad padre fu il classico despota arabo che mise il suo Paese nell’orbita filosovietica, col risultato di condannare la Siria alla povertà ed alle sconfitte militari. Se non altro ebbe la capacità di farsi apprezzare dai suoi protettori (gente dura e mentalmente squadrata) come un leader molto più affidabile della media araba. Assad figlio, invece, ha guidato un regime che in un certo senso era un sopravvissuto a se stesso: col trionfo della liberaldemocrazia nel nord del mondo e la rinascita islamica nel mondo musulmano il socialismo arabo aveva perso il suo fascino e concluso il suo ciclo (ma è mai esistito un tale ciclo?). La fine di tale regime semi-laico apre le porte o ad una sostanziale riconquista turca/neo-ottomana di larga parte del Paese o alla sua caduta nelle mani dei fondamentalisti.

Quello degli Assad era un regime sanguinario e criminale, ma era anche un sistema di potere mafioso basato su una famiglia. E una famiglia mafiosa, per quanto amorale, vuole due cose: potere e denaro. Questo le dà una razionalità, o almeno una capacità di capire quanto si possa tirare la corda nelle avventure internazionali. Tale discorso può apparire immorale, ma è tutto ciò che l’Occidente, in particolare Israele, può sperare di ottenere da quei Paesi: regimi che non costituiscano una minaccia ed in cambio chiedano di poter torchiare le proprie popolazioni. In fondo l’esportazione della democrazia è stata tacciata di colonialismo, quindi perché dovremmo imporre i valori occidentali a chi occidentale non è?

Nel caso siriano è improbabile che un regime fondamentalista islamico abbia la stessa “mafiosa razionalità” del caduto clan Assad: un cambiamento che non modifica la situazione della popolazione siriana, ma potrebbe peggiorare quella dell’Occidente.


Riferimenti bibliografici: